In particolare, secondo Pozzi, il codice deontologico dei giornalisti iscritti all’albo risulta assente sul web. Ambiente nel quale è diffusa una sensazione di totale impunità: ecco spiegato il motivo per cui si legge spesso di minacce di morte all’interno dei social media. Risulta, quindi, inevitabile rifarsi all’art. 21 della Costituzione in merito alla libertà d’espressione nel rispetto delle leggi, implicando una forte sollecitazione democratica, utile a contrastare le nuove forme di cyberbullismo o di istigazione al suicidio.
Invece, Lucarelli sostiene con una certa vivacità che chi scrive su Facebook e sui blog risponde del proprio contenuto con le stesse responsabilità di chi scrive sui giornali. Eleva in un certo senso il web, ponendosi in contrasto con Finzi, definendo le figure che vi operano delle “sentinelle che vigilano sui giornali”.
Per @stanzaselvaggia coloro che usano i social fungono da “sentinelle che vigliano sui giornali”, in grado di generare e detonare all’istante miriadi di fake news.@festivalglocal #glocal18
— Alberto De Franciscis (@albertodf94) 8 novembre 2018
Ciononostante, vengono generate continue e fuorvianti “fake news”, tuttavia “detonate” nel giro di poco tempo dal web stesso più che dal giornalismo in sé. Pertanto, il web rappresenta il male e allo stesso tempo l’antidoto per le “fake news”.
Infine, Galimberti conclude l’analisi della problematica deontologica, puntando il dito contro il modo molesto di fare giornalismo, talvolta invadente e sgusciante: a suo dire, questo è il fattore che caratterizza l’assenza di deontologia nel contesto informativo.
Di conseguenza, i relatori auspicano che il web si basi sempre più sui principi enunciati da Fiengo di “chiarezza, veridicità ed onestà”, ossia su una responsabilità in carne ed ossa.