“Siamo severi con lui, con chi gli è stato vicino, e con chi l’ha ucciso. Proteggere queste persone è compito nostro, dello Stato” il commento di Conchita Sannino, giornalista d’inchiesta di Repubblica, presentatrice della vicenda al Glocal. “Napoli è bella, è come una mamma che ti stringe e non ti vuole lasciare andare”, ma “quando fai quella vita non puoi tornare indietro”, racconta la voce narrante del docu-film.
ES 17 non era il ragazzo, ma il criminale che era il ragazzo era diventato. Ad emergere dalla proiezione è la scelta sbagliata di un ragazzo che in comunità aveva sempre dimostrato grandi attitudini di scrittura, inchiesta, giornalismo. Un ragazzo intelligente dicevano, che spiccava.
È stato il ritorno alla vita al di fuori della comunità a freddarlo, vita guidata dal desiderio di dominare a Napoli con il suo clan e dalla sua incapacità di discernere. ES le iniziali di nome e cognome “17 perché la S è la diciassettesima lettera dell’alfabeto, ma 17 è anche la sfiga che brucia”.
La presa di coscienza è che come Emanuele ci sono tanti altri giovani per cui non si riesce a far niente, non solo a Napoli. La differenza fra chi sceglie una vita normale e chi sceglie la via criminale è l’assenza della famiglia, dello Stato, dei rapporti più stretti capaci di far la differenza. Sannino ha ribadito come non ci sia intento né celebrativo né giustificazionista nel docu-film ma solo l’interrogativo di come questi spaccati sociali possano essere pieni di lutti e di criminali sociali? Alcuni giovani come Emanuele, o ES 17, si salvano grazie allo sforzo di chi gli sta accanto coscienti della mancanza di volontà dai ragazzi stessi. Di fondo, rimane l’interrogativo del magistrato Catello Maresca: capire perché i ragazzi non scelgano alternativa alla malavita. Già, perché per aiutare questi ragazzi serve capire, non giudicare.
Edoardo Colombo