Twittare? “È semplicemente più comodo, come Wikipedia. Ma come il sito web, è pieno di errori: il problema è che c’è stato un imbarbarimento della comunicazione, soprattutto quella sportiva”. Esordisce così il giornalista sportivo Andrea Bosco, con un approccio molto negativo verso il mondo digitale e in particolare quello dei social network. A sostenere la sua opinione c’è anche Giulio Peroni, giornalista sportivo di Avvenire, che aggiunge come la gerarchia dei ruoli, una volta fondamentale e obbligatoria per crescere professionalmente, oggi sia venuta meno: “I social ci stanno dicendo che nulla può essere tutto e tutto può essere nulla”, continua Peroni, “sui social un signor Nessuno può avere un’autorevolezza superiore a chi ha lavorato tutta una vita come gioranlista“. È una sconfitta della professione giornalistica nei confronti del web: anche le testate più importanti oggi si adeguano a questo cambiamento che livella verso il basso il lavoro del giornalista.
Prima, senza Internet, i giocatori erano condizionati dal giornalismo, dipendevano da esso, perché era l’unico modo di farsi conoscere. Oggi, invece, comunicano attraverso i social, in questo mondo autoreferenziale, senza intermediazioni.
“Non è vero che chiunque può essere giornalista in rete, perché il giornalista si differenzia per i contenuti”, Alessandro Galimberti, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, si dice nemico di Internet, perché creatore di una serie di contenuti di basso livello.
Forse al giornalista si chiede poco. “Il giornalismo è cuore, è sensibilità, è amore” continua Peroni, parlando di come oggi i contenuti siano diventati più poveri, rispetto a quanto accadeva prima, quando il giornalista carico ed entusiasta partiva per lo stadio e faceva il suo servizio.
Più ottimista è invece Darwin Pastorin, giornalista e scrittore, che lancia un messaggio ai giornalisti sportivi: “Oggi realizzare i vostri sogni è possibile anche grazie alle nuove tecnologie”.
