Le parole di Novara pongono attenzione sulla necessità di intervenire al fine di cambiare i metodi di insegnamento nelle scuole. Si tratta di un’attenzione che dovrebbe essere creata dai giornalisti, ma al giorno d’oggi il loro ruolo è sempre più sostituito dai social media. Questi costituiscono un vero e proprio problema di disinformazione. Le notizie hanno un primo passaggio sui social e la loro immediatezza preoccupa, perché la vera notizia ha bisogno di una verifica prima di essere pubblicata.
Nel campo della comunicazione gli stessi giornali possono sbagliare e creare fraintendimenti. Viene sottolineato il fenomeno della cattiva informazione terminologica, dove l’allarmismo è all’ordine del giorno. Termini spaventosi come “guerra” e “bullismo” sono sempre più confusi e sostituiti da “conflitto” e “litigio”, problematiche a cui tutti noi siamo esposi quotidianamente. Per fare un esempio si può prendere il termine “to bull”, che in inglese indica una violenza sadica, e vedere come in italiano sia tradotto letteralmente come “bullizzare” riferendosi a un qualsiasi atteggiamento violento legato a un battibecco. Quello che si dimentica spesso, però, è che il litigio fisico è l’unica tipologia di litigio che il bambino conosce, dato che non ha ancora appreso cosa sia la diplomazia. Chiedere a un bambino se sia mai stato picchiato da un altro avrà nella maggior parte dei casi una risposta affermativa, ma questo non deve far pensare che il bullismo sia diffuso in modo così ampio. Si tratta di una leggerezza nell’utilizzo delle parole, che sta creando quella che Daniele Novara chiama “la società della paura”, basata su percezioni sbagliate che tutti noi cogliamo dai media.
Appare dunque necessaria una collaborazione tra giornalista e pedagogista, il quale ha il ruolo di creare comprensione. Il secondo può fornire un’analisi più profonda di una certa realtà agli organi di stampa, che a loro volta sarebbero in grado di dare più informazioni al pubblico.
Amanda Poretti