Come ogni attività umana, il buon giornalismo richiede tempo. Eppure, nell’epoca dell’immediatezza della rete, a volte anche l’informazione tende a mettere la velocità prima di tutto. Ma è ancora possibile trovare nuove forme di giornalismo “lento” e di qualità? Provano a rispondere i relatori del panel “C’è ancora tempo per il giornalismo di qualità?”.
Il primo a intervenire è Mads Nyborg Støstad, giornalista norvegese di Nrk: «Anche quando raccontiamo fenomeni complessi, come può essere il cambiamento climatico, è importante non fermarsi all’elenco di dati asettici, ma raccontare le esperienze delle persone coinvolte. Siamo giornalisti: il nostro compito è proprio quello di raccontare storie». Un approccio più “lento” al giornalismo, che rinuncia alla velocità per concentrarsi sulla qualità dei contenuti. «A volte la realizzazione di un progetto richiede anche alcuni mesi di lavoro – rivela Støstad -. So bene che si tratta di tanto tempo, soprattutto per una redazione, ma è il prezzo da pagare per avere un giornalismo di qualità».
Un’opinione condivisa anche da Cecilia Anesi, giornalista e co-fondatrice di IrpiMedia, una testata indipendente di giornalismo investigativo. «Credo che la prima caratteristica del giornalismo di qualità sia sempre la profondità. È importante non fermarsi al semplice fatto di cronaca, ma dare informazioni di contesto per spiegare cosa rende importante quella notizia. L’altra caratteristica fondamentale è la ricerca dei fatti e la verifica delle fonti. Bisogna essere sempre sicuri al 100% di quello che si scrive: è questo l’unico modo per mantenere un rapporto di fiducia con i lettori».
Secondo Luca Sofri, direttore de Il Post, la chiave consiste nel riuscire a rendere sostenibili economicamente quelle testate che fondano il proprio lavoro sulla qualità, anziché sulla velocità a tutti i costi. Per farlo, spiega Sofri, è necessario insistere sul “prezzo” di questa attività. «La ragione per cui bisogna pagare per l’informazione di qualità è molto semplice: senza pagare, l’informazione di qualità non si fa – commenta lapidario il direttore del Post -. Non si tratta quindi di pagare per ragioni di virtù, ma per necessità».
Per anni l’informazione online è stata offerta dai giornali in forma completamente gratuita. Una volta realizzata l’insostenibilità economica di questo modello, le testate di tutto il mondo hanno provato a correre ai ripari. Convincere i lettori a pagare per le notizie, però, non era (e non è) affatto semplice. Secondo Sofri, nel 2016 è iniziata un’importante inversione di tendenza: «Brexit e l’elezione di Donald Trump ci hanno aiutato a visualizzare meglio la situazione: l’informazione non è tutta uguale – ragiona il direttore de Il Post -. Forse è proprio in quel momento che si è iniziato a capire che c’era bisogno anche di piccoli investimenti economici per essere sicuri di poter avere informazione di qualità».