La storia si ripete, ma non è mai uguale: l’Afghanistan e il ritorno dei talebani

“Tornare indietro da molto più l’idea della complessità, di una storia che si ripete non uguale”. In questo senso, come spiega Lorenzo Cremonesi, giornalista del Corriere della Sera, all’incontro del festival Glocal “Il tempo che torna indietro, l’Afghanistan e il ritorno dei talebani”,  l’Afghanistan non è più paragonabile a quello del passato: “Dire che l’Afghanistan di ora è uguale a quello di 20/25 anni fa solo perché sono tornati i talebani è sbagliato. La Kabul di oggi è un altro mondo rispetto a quello degli anni Novanta- spiega Cremonesi, -. Ai tempi I talebani non erano riconosciuti se non dal Pakistan. Kabul era una città di rovine. Le famiglie bruciavano la plastica in casa per scaldarsi. Non c’erano i vetri a causa delle esplosioni delle bombe. Oggi i talebani ci chiedono aiuto, non  solo riconoscimento”.

Secondo Cremonesi, per l’Occidente rimane solo una soluzione: “O si combattevano i talebani, cosa che non è stata fatta, o parliamo con loro. Loro si presentano come l’elemento forte identitario del Paese. La loro guerra è stata una guerra partigiana. I talebani rappresentano una parte importante di questo Paese, impossibile negarlo”.

“Abbiamo spogliato il Paese dalla sua classe dirigente, che poteva mediare-, conclude – Abbiamo portato via i semi che avevamo lasciato in Afghanistan. è rimasto solo quel grande senso di colpa Occidentale. In guerra non è vero niente. Sono due anni che gli americani dialogano con i talebani, non è stata una presa . Trump aveva organizzato il ritiro a fine maggio, Biden ha fatto ritardare di 3 mesi”.

La giornalista Cecilia Sala, invece, è partita per l’Afghanistan dopo la fine dell’evacuazione. “Sono arrivata in Afghanistan con uno sguardo completamente diverso da quello di Cremonesi. Non avevo alcuna conoscenza di Kabul né dell’Afghanistan. Per l’Afghanistan non avrei mai potuto girare da sola, avevo bisogno che qualcuno mi accompagnasse. Così mi ha accompagnato un fixer, che è molto più di un traduttore, conosce anche gli usi e i costumi del luogo”. Anche Sala è dell’idea che i talebani non siano adatti a coprire ruoli della classe dirigente: “Sono combattenti, non sanno come si gestisce un Paese. La figlia del mio fixer mi ha raccontato di un talebano con il fucile seduto in mezzo ai bambini a scuola che imparava a contare, a leggere e a scrivere. Quando viene vietato alle studentesse e alle insegnanti delle medie e del liceo di andare a lavorare o studiare non viene vietato, ma il venerdì, giorno della preghiera, i talebani comunicano: domani, sabato, invitiamo i ragazzi e gli uomini a tornare nelle scuole”.

 

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