Limitare il sensazionalismo o limitare il giornalismo giudiziario? È questa la domanda che emerge dall’ultimo incontro di Glocal 2023 al salone Estense di Varese con due nomi importanti del giornalismo a cavallo tra cronaca nera e cronaca giudiziaria, Cesare Giuzzi del Corriere della Sera e Monica Serra de La Stampa, e un avvocato come Guido Camera. A moderare ci ha pensato uno dei pilastri della giudiziaria varesina come Paolo Grosso, giornalista de La Prealpina.
Grosso è partito dai tre casi più importanti che hanno riempito le pagine dei giornali per anni come l’omicidio delle mani mozzate, il caso Lidia Macchi e il processo a Stefano Binda e la vicenda Giuseppe Uva: «Tre momenti della cronaca locale che, ognuno a modo suo, hanno interrogato sia i giornalisti che i lettori sull’importanza dell’oggettività e dell’equilibrio nei giudizi. Se per il caso dell’omicidio delle mani mozzate il colpevole è stato inchiodato alle proprie responsabilità, per gli altri due l’assoluzione finale ha ribaltato completamente le tesi accusatorie, costringendoci a riflettere».
Monica Serra ha introdotto il tema dei tentativi di limitare l’accesso alle fonti per i giornalisti, intervenuto negli ultimi due anni con la riforma Cartania: «Essere cronisti significa stare lontano dai giudizi, attenersi ai fatti e alle testimonianze. Accedere alle fonti è l’unico modo per poter raccontare una vicenda senza pregiudizi. Cosa che è sempre più difficile fare dopo la riforma Cartabia che limita le informazioni ad un solo canale che è quello del Procuratore della Repubblica nelle cui mani c’è la scelta della rilevanza di una notizia e quali informazioni diffondere».
Serra porta sul tavolo il caso, recentissimo, della madre presunta infanticida: «Sarebbe stato importante accedere all’ordinanza di custodia cautelare ma non è stato possibile averla, nemmeno seguendo le procedure stabilite per i giornalisti. Per non incorrere nel sensazionalismo bisogna accedere alle informazioni».
Per Cesare Giuzzi «fare informazione è una questione di libertà e di diritti da rispettare. Togliere la libertà ad un cittadino è qualcosa che va comunicato a garanzia di tutti. Si deve sapere perchè soprattutto in un sistema che, nella prima parte della procedura penale, è completamente sbilanciato verso l’accusa. Sono dell’idea che tutto, comunque, vada raccontato senza prendere parte».
Poi il giornalista fa una postilla sulla stampa locale «che si muove meglio dei giornali nazionali sui casi del proprio territorio. C’è una maggiore ricerca dell’equilibrio e del rispetto del quadro generale». Riguardo al sensazionalismo, secondo il cronista del Corriere, «c’è un miglioramento sui dettagli morbosi rispetto a 15-20 anni fa. Ci sono comunque casi che si prestano ad un sensazionalismo più facile e immediato rispetto ad altri ed è difficile non caderci, soprattutto quando il pubblico è ormai abituato al genere ed è stimolato in ogni momento, dal web alle trasmissioni del pomeriggio che presentano casi di omicidio e li scandagliano fino al dettaglio. Ogni tanto servirebbe un tempo tecnico di riflessione che spesso manca».
Alla fine è l’avvocato Guido Camera a dare una speranza ai giornalisti, sempre più schiacciati da regole che comprimono l’accesso alle informazioni: «Il processo deve essere pubblico perché tocca i diritti delle persone. Limitare il sensazionalismo è corretto ma il giornalista deve garantire al popolo la realizzazione dei principi costituzionali. Purtroppo spesso, da parte dei giornalisti, c’è poca attenzione al processo, soprattutto nelle grandi città. C’è sensazionalismo e sensazionalismo. Quello nei processi è inevitabile e necessario. Quello al di fuori spesso è superfluo. Oggi che fa le leggi pensa a dare segnali e non a creare una disciplina. Con la Cartabia si è fatto questo e ora si rischia di avere circuiti ancora più oscuri attraverso i quali passano le informazioni. Va ricordato, comunque, che i giornalisti non hanno divieti assoluti nel loro lavoro ma devono saper utilizzare questa peculiarità con attenzione e discernimento».