A causa della pandemia, nel giro di poche settimane, la scienza è passata da avere qualche rubrica interna dei quotidiani (o qualche programma, spesso misconosciuto in tv) a diventare protagonista delle prime pagine di giornali e telegiornali. Un cambiamento radicale che ha dovuto fare i conti con una situazione non sempre facile: l’accesso ai dati è tuttora difficoltoso, il pubblico non è abituato a confrontarsi con determinati tipi di notizie e le stesse redazioni, spesso, non sono strutturate per ospitare team (anche ridotti) di giornalisti specializzati come invece avviene all’estero.
Di tutto ciò – e di tanto altro – si è parlato nell’incontro “La scienza in prima pagina” inserito all’interno del festival di giornalismo digitale “Glocal 2020” organizzato e voluto da Varesenews anche in modalità a distanza. Ospiti dell’appuntamento, coordinato da Riccardo Saporiti – data journalist che collabora con il nostro giornale – tre figure importanti del giornalismo scientifico nazionale: la divulgatrice Roberta Villa (che fa anche parte della task force governativa contro le fake news sul Covid-19), la giornalista scientifica Elisabetta Tola dell’agenzia di comunicazione specializzata “Formica Blu” e il caporedattore di Wired Italia, Andrea Gentile.
Tanta, la carne al fuoco con la situazione presente – quella della pandemia – a marchiare in modo indelebile la discussione, e non poteva essere altrimenti, anche se il discorso della “scienza in redazione” è indubbiamente più ampio e può essere ricondotto al fatto che questi argomenti portano con sé, nello stesso tempo, complessità e incertezza. L’opposto di quel che sta succedendo in questo periodo, quando c’è spesso il rischio di cadere nel sensazionalismo.
«Troppo spesso i giornali si accontentano di amplificare le parole che attraggono l’attenzione – spiega Tola – Si danno le notizie senza scavare intorno ad esse, fermandosi alla superficie. Invece nel mondo della scienza ci sarebbero da raccontare tante storie che vengono tralasciate e che andrebbero approfondite». Gentile rincara la dose: «I giornali spesso montano la competizione sul dettaglio in più o sul titolo a effetto: anche in pandemia la scienza viene trattata come un argomento qualsiasi facendo perdere quella parte importante di approfondimento».
«La complessità – è il parere di Villa – si scontra con la necessità di ricavare un titolo per il giornale: il rischio è che ci si dimentichi di calare le notizie nel loro contesto, ma in questo caso il contesto lo conoscono solo i giornalisti scientifici che sono figure troppo rare all’interno delle redazioni. Capisco che il “wow effect” faccia parte del nostro lavoro: non è sbagliato attrarre il lettore, però poi è necessario attenersi ai fatti ed evitare sensazionalismi».
L’epidemia, però, ha regalato anche effetti positivi al giornalismo italiano. «Innanzitutto – prosegue Gentile – ogni giornale ha iniziato a trattare i numeri, una cosa che prima era rara. Certo, c’è anche il rischio che questi vengano mal interpretati, però è il momento di dare più spazio al data journalism». «Il grande interesse verso la scienza è un fatto positivo – spiega invece Villa – ed è bello che in questo contesto siano emerse figure nuove e giovani che si sono dimostrate molto competenti: penso a Isaia Invernizzi che era all’Eco di Bergamo (ora è passato a Il Post ndr) o a Cristina Da Rold». Il nome di Invernizzi – altro ospite di Glocal 2020 – è stato fatto anche da Tola che però ha ricordato come in Italia spesso manchino quei team interni alle redazioni in grado di dare maggior forza all’approfondimento scientifico. «Purtroppo ho visto alcuni che non si discostano dal copia-incolla di comunicati stampa, ma quello non è giornalismo; ci sono però anche esempi virtuosi di testate come Wired che vanno al di là del “dato a rubinetto”. E ho visto anche alcune newsletter molto interessanti, in grado di fornire chiavi di lettura approfondite con un po’ più di tempo a disposizione».
Sui dati, nel frattempo, si è discusso parecchio: Villa a differenza degli altri speaker non ha (ancora?) firmato la petizione “Dati Bene Comune” rivolta a Presidente del Consiglio Conte per una diffusione dei dati in modo più granulare, in formato aperto e con licenza di poter essere utilizzati dalla stampa e dai cittadini. «La mia perplessità deriva dal fatto che chiunque possa prendere quei dati e trarre le proprie conclusioni. E poi, in un momento di emergenza, chiedere un ulteriore sforzo alle istituzioni pubbliche, potrebbe essere controproducente».
Per Tola, però, questo è il momento più adatto per chiedere aperture: «Se aspettiamo che passi l’emergenza ed entriamo in fase di valutazione – e in Italia se ne fa poca – perdiamo questa spinta: culturalmente è importante fare questa pressione. Non ho dubbi che i dati non ci siano tutti o non siano organizzati, ma anche per questo è il caso di richiederli». E Gentile, a sua volta, ha parlato di necessità di trasparenza nell’avere i dati a disposizione.
Un tema fortemente all’ordine del giorno è quello dell’infodemia, ovvero la quantità eccessiva di informazioni sulla pandemia che raggiungono quotidianamente le persone. Il consiglio di Roberta Villa, a riguardo, è chiaro: «Anzitutto c’è il rischio che certe notizie non ci colpiscano più; ieri i morti per Covid-19 erano equivalenti a quelli di quindici tragedie del “Ponte Morandi” ma molti non ci fanno caso. Da ciò ci si difende scegliendo alcune fonti autorevoli e attenendosi a quelle; e poi evitando di seguire il singolo studio, la singola notizia, perché la scienza non funziona così. Bisogna sviluppare consapevolezza della situazione: cercare di capire se le notizie brutte siano davvero tali e viceversa». Dal suo osservatorio di responsabile del sito di Wired Italia, Gentile conferma che in questa seconda ondata di epidemia, l’interesse dei lettori è tornato a crescere: «Da parte nostra va trovato un equilibrio; non soffermarsi su singola notizia ma ampliare molto il contesto, coinvolgere le persone per far conoscere come funziona la scienza, e questa è una grande occasione per le nostre testate. Ci sono già casi in Italia in cui si è cercato di dare una informazione più curata: la newsletter sul coronavirus del Post, per esempio, è un esempio virtuoso che ha anche aiutato a fidelizzare un pubblico che magari ha iniziato ad abbonarsi».
Quello del “piano di business” legato al giornalismo scientifico è un altro aspetto e Villa – notissima sui social network a partire da Instagram – ha affrontato un discorso troppo spesso tabù. «Io sono giornalista e a differenza di altri divulgatori non posso fare pubblicità neppure a prodotti lontanissimi dai temi trattati, per esempio a dei gioielli. Paradossalmente però se collaborassi con un’industria farmaceutica, per partecipare a conferenze o fare consulenze, non ci sarebbero problemi. Questa è una cosa da affrontare, perché non esiste un modello di business che ci consenta di stare sui social e guadagnare dal nostro lavoro». E Tola le fa eco: «Peggio ancora: Roberta è bravissima e i giornali la intervistano, così hanno le sue competenze ma, in pratica, le ottengono in modo gratuito».
L’ultima fase del panel ha riguardato il modo di comportarsi con quel mondo che si può definire come “negazionista”, anche se – vedremo – gli intervenuti concordano nel non dover dare etichette. «Se nei giornali è relativamente facile evitare un contraddittorio – ha sottolineato Gentile – lo stesso non si può dire della televisione dove il dibattito è spesso il sale dei programmi. È importante cercare di capire e approfondire il fenomeno, senza però trattare le persone da stupidi, il che è totalmente controproducente. Noi giornalisti dobbiamo far capire che certe situazioni non hanno presupposti scientifici a chi non ha basi solide».
«Ricordiamoci che le posizioni molto estremiste sono assai ridotte – interviene Tola – La nostra attenzione deve invece andare verso le persone che hanno dubbi, paure o domande a cui magari il sistema non dà risposte e verso cui non mette in campo modalità di interazione. È necessario intercettare quell’aspetto: ci sono sfumature e domande che non vengono prese in considerazione e per questo è utile trovare un terreno su cui confrontarsi».
A chiudere è ancora Villa: «Etichettare le persone è controproducente perché tra di noi si mette un muro. Bisogna distinguere le persone dai fatti: se una figura eminente si presenta in TV parlando come un ciarlatano non la si può etichettare, però è necessario che i giornalisti scientifici contestino determinate posizioni quando non sono vere. Il “presunto esperto” merita una contestazione maggiore rispetto alla casalinga intervistata su temi non suoi».